Tuffo in Bretagna

di Sandro Russo (pubblicato su Ponza Racconta)

Dopo ogni viaggio un bilancio è ineludibile. A caldo, come la famosa “lettera del giorno dopo” della letteratura giapponese, e poi a distanza. Alcuni viaggi lasciano tracce profonde, altri quasi evaporano dalla memoria. Ma tutti sono importanti, ad una riflessione più approfondita.

Sono arrivato a pensare che ogni viaggio sia in fondo un riepilogo e un ritorno. È che ogni viaggio è legato al precedente e a tutti gli altri. Ciascuno di essi ha rappresentato una tessera del puzzle della mia vita.

Plongeur à Quiberon

Di solito all’arrivo in un paese straniero si è frastornati, muti, tendenzialmente di cattivo umore, con una bassa soglia di aggressività nei confronti dei locali e di chi ci sta intorno (amici ed estranei). Parlo per me, ma le stesse reazioni le ho trovate, in misura maggiore o minore, piuttosto diffuse. Forse c’entra in minima parte la stanchezza del viaggio, il cambiamento del fuso orario; ma non è quello il problema maggiore.
È che abbiamo bisogno di riferimenti, categorie, modelli conoscitivi. Anche la più svagata e fantasiosa delle persone può abbandonarsi all’onda solo all’interno di un sistema noto.
I primi giorni di malessere corrispondono ad una chiusura. Tutti i sensi che siamo abituati ad usare come ponte con l’esterno sembrano inutili; la frustrazione è dolorosa. Allora gli pseudopodi vengono ritirati e ci si racchiude come in una palla. Quando l’esterno è vissuto come ostile, è dentro di noi l’unica sicurezza, il solo riferimento. Le nostre proiezioni si sono ristrette in un solo punto, che è precisamente il centro di noi stessi.
Da esso cominciamo ora a irradiare nuovamente verso l’esterno. Durante i primi giorni si erano notate soprattutto le differenze; ora si cominciano ad apprezzare le similitudini, le consonanze, i motivi di interesse. Così riprendiamo l’esplorazione, in cerchi sempre più ampi intorno al nucleo fortificato, sentito come sicuro. Ogni giorno ci si spinge più lontano; il contatto meno rigido e difeso.
Apertura, empatia e arricchimento sono in rapporto con la maggiore o minore capacità di ciascuno di entrare più rapidamente e completamente in consonanza con l’esterno.
Questo schema l’ho sperimentato ripetersi in molti miei viaggi; sicuramente nelle proiezioni asiatiche e africane, vissute come le più aliene.

Dal Jardin de Garenne sul fiume-fiordo di Étel

Nei miei viaggi è raro che non ci sia il mare. Tanto da poter dire di averne visti tanti… di posti di mare, di isole e di gente di mare. Questa soprattutto mi interessa; anche quando dal mare si è allontanata. Scruto i loro volti alla ricerca del come e del quando. Così come mi interessano quelli che pur essendo nati altrove, hanno scelto di vivere in un luogo di mare.
Spesso nei miei vagabondaggi è incluso un viaggio in nave, breve o lungo che sia. Allora mi piazzo sopra-coperta, nel punto più alto della nave, al crocevia dei venti, di mare e sole.

In mare, verso Belle Île en mer, a un’ora circa dalla costa

In tutti i viaggi nei posti di mare c’è un momento in cui mi sento estraneo, inadeguato. Sento che non riuscirò mai a capire i gesti, i volti, le reazioni. Più che altrove, qui ogni cosa ha una storia dietro, motivazioni che agli estranei sono precluse. Per entrare in questo piccolo mondo secluso c’è bisogno di tempo. Ci si muove in piccoli cerchi che ogni giorno si allargano un po’. Sarà l’aver conosciuto molto bene un luogo del genere a farmi pensare che è un lavoro lungo e difficile. E anche aver visto in molti film quanto è complicato penetrare una comunità chiusa, entrare nel suo modo di pensare.
Non abbiamo conosciuto granché il mondo e la gente di qui; ma per i contatti umani c’è stato molto da scambiare con i compagni di viaggio [pubblicheremo presto questi brevi scritti in “Galleria di ritratti” – Ndr].

Le isole del piccolo arcipelago: Belle Île en mer, la più grande (83,76 km²). Le altre sono Houat e Hoëdic

Altro gran motivo d’interesse il settore “Ambiente e natura”. Diceva Ippolito Pizzetti (Milano, 1926 – Roma, 2007)paesaggista e architetto di giardini che ho conosciuto di persona, che le piante gli facevano molta compagnia quando si trovava in un paese straniero. Se ne ripeteva i nomi che sono gli stessi in tutto il mondo e si sentiva subito tra amici, in attesa di farsene altri tra le persone. Questo aspetto qui è stato molto ricco.

Ginestre e mare (qui sono tutte Ulex spinosus, belle ma inavvicinabili)

Quattro inaspettati ma gradevolissimi giorni di pieno sole ci hanno benedetto il soggiorno qui. Soprattutto gradito per l’escursione a Belle Île en mer, con viaggio A/R in nave e lunga passeggiata lungo la costa fino al faro di Souzon, pointe de PoulainsMa abbiamo avuto anche un giorno di tutta-pioggia necessario per avere un’idea della vera Bretagna.

Piccola spiaggia a Belle Île en mer. Sulla sinistra della foto, cascata di Carpobrotus edulis (le ‘rose marine’ di Ponza). Sull’isola anche la varietà a fiori gialli

Per quanto ha riguardato l’esperienza del viaggio, sono i due momenti che ho cercato di descrivere, quello della contrazione e dell’espansione, i più fecondi. Una sorta di pulsazione ritmica, collegata con il (mio) ritmo vitale. Li trovo anche, in relazione con l’elasticità e l’adattamento, nella vita di tutti i giorni. Una funzione che non va lasciata inerte e inattiva per troppo tempo e che un viaggio riattiva. Che questo viaggio ha riattivato.

Il faro di pointe des Poulains, di Souzon, che si allontanava man mano che si camminava per raggiungerlo