Gli epitaffi (1). Incursioni nel profondo al cimitero degli inglesi ad Argostòli, Cefalonia
di Sandro Russo (pubblicato su Ponza Racconta)

C’è un numero sorprendentemente alto di persone che amano i cimiteri. Per il senso di pace che li pervade, per le memorie che delicatamente suscitano, anche per amore dell’arte… Alcuni sono veramente belli e spesso ne scriviamo sul sito (un parziale indice in ritaglio-immagine alla fine del secondo articolo su questo tema).
Un’occasione per parlarne di nuovo è il recente viaggio-studio a Cefalonia nella prima settimana dello scorso settembre, di cui abbiamo già scritto e continueremo a farlo, tanti gli stimoli che ne sono venuti.
Partiamo dalla fascinazione che il nostro capo-cordata nutre per i cimiteri, tanto da aver loro dedicato un libro:

Chi ha tracciato i sentieri e le strade? I morti. Chi ha dato il nome ai paesi? I morti. Chi ha costruito le case e le chiese? I morti. Chi ha disegnato le forme dei campi registrate nel catasto? I morti. Chi ha stabilito leggi, regole di convivenza, usi quotidiani? I morti. Nei piccoli cimiteri di campagna e di paese, e ancora più nei poetici cimiteri abbandonati, lungo tutto l’Appennino, a volte i morti sembrano più presenti dei vivi. Sostando nel suo cammino, il viaggiatore si accosta alle loro vite attraverso le parole incise sulle lapidi, in un muto dialogo tra generazioni diverse; e a volte la morte gli fa meno paura [Claudio Visentin, dalla presentazione del suo libro]

I libri consigliati da Claudio (foto di Roberta Gaeta)
L’altra predilezione del nostro Claudio è per gli haiku, i brevissimi componimenti poetici di derivazione giapponesi ma ormai universalmente diffusi, codificati in modo rigoroso per quanto attiene alla durata della frasi, i riferimenti alla stagione, all’umore prevalente e allo scioglimento; tanti vincoli per un componimento così breve, però “allena” alla concisione, al controllo della scrittura e – provare per credere – sbriglia la fantasia.

La visita al Cimitero degli inglesi di Argostòli è l’occasione per unire queste due passioni di Claudio e per noi apprendisti stregoni una strenua prova di immaginazione e scrittura…
Perché la proposta di Claudio, insieme al consiglio di girare tra le stele di pietra corrose dal tempo e ‘fiorite’ di licheni, è stata quella di decifrarne le iscrizioni e quindi… di provare a scrivere il nostro proprio epitaffio, nella severa e costrittiva forma dell’haiku.
Invito invero audace e sconvolgente; soprattutto inaspettato per un pomeriggio di sole e di piacevoli escursioni in giro per una bella isola greca.
Perché… come si fa ad uscire dalla vita, provare ad entrare nel mondo oscuro e incognito che continua ad esistere senza di noi, e poi rientrare e leggere agli altri quel che si è scritto come se fosse un gioco di società?
Forse è questa la sfida estrema della scrittura: farti uscire da te, entrare in un personaggio di fantasia cui devi prestare pensieri e parole e poi – senza perdere la ragione – continuare la vita di tutti i giorni, considerando l’accaduto solo una parentesi.
Tutti noi credo, quel giorno al cimitero degli Inglesi di Argostoli, abbiamo avuto un assalto di foschi pensieri che ciascuno ha dovuto fronteggiare là-per-là con le modalità cui ognuno era aduso in circostanze del genere: facendo surf in superficie, tra le schiume del profondo mare nero, o mettendo il tutto fuori da sé, come se fosse un gioco di ruolo, o sfiorando appena il Grande Nulla, come toccare la spessa vetrata di un acquario dove nuotano i pescecani con le fauci spalancate.
Tutto questo quel pomeriggio, l’abbiamo dovuto fare in un tempo brevissimo, un’ora neanche. Mentre adesso che ne scrivo posso prendermi tutto il tempo che voglio, cercare esempi, consultare internet, alla ricerca delle tante soluzioni possibili.

Il cimitero degli inglesi di Argostòli (foto di Sara Ahimsa)
Gli epitaffi che leggiamo nei cimiteri sono fondamentalmente di tre tipi. Le formulazioni generali, neutre, standard cimiteriale; quelle espresse da amici e parenti del defunto nel tentativo di sintetizzarne/celebrarne la figura o invece – con maggior coinvolgimento – le parole dettate dal morituro stesso in previsione della sua scomparsa dal mondo. Ci sono sottocategorie e varianti. E possibile anche operare una selezione degli epitaffi tra quelli gravi, semiseri o irridenti. Ne presento alcuni, tra i tanti che ho letto. Di varia tipologia; noti e meno noti, non necessariamente haiku; qualcuno scelto solo perché l’ho particolarmente apprezzato. La categoria di appartenenza sarà chiara a chi legge.

La tomba di Napoleone (foto di Zsolt Horváth; 2022)
“Hic cineres, ubique nomen”
Qui son le ceneri
dappertutto il nome.
[Napoleone Bonaparte, sulla tomba monumentale a Parigi, nella chiesa di Saint-Louis des Invalides, un blocco porfido rosso di Finlandia, che contiene ben sei bare, una dentro l’altra]
Qui giace l’Aretin poeta tosco
Di tutti disse mal fuorché di Cristo,
scusandosi col dir “Non lo conosco!
Epitaffio erroneamente attribuito a Pietro Aretino (Arezzo,1492 – Venezia, 1556). Pietro Aretino, nel suo periodo di soggiorno a Roma, nel luglio 1525 fu vittima di un’aggressione, con cinque coltellate, di notte sul Lungotevere. Alla quale fortunosamente sopravvisse. Famosa è la frase del letterato Paolo Giovio, uno dei tanti detrattori di Pietro, che così immagina l’epitaffio da apporre sulla tomba: “Qui giace l’Aretin poeta tosco, ecc… Lo scrittore, ancora convalescente, viene a sapere dell’invettiva e risponde da par suo con un ideale epitaffio per il Giovio che recita: “Qui giace il Giovio storicone altissimo, di tutti disse mal fuorché dell’asino, scusandosi col dir: egli è il mio prossimo”.
“Dal ciel la terra a visitar venimmo…
era più bello il ciel, vi ritornammo”
Sulla tomba di due gemellini, morti poco dopo la nascita, al cimitero di Cassino (mia città natale). È stato il mio primo epitaffio mandato a memoria. Mia madre mi portava sempre a dare un saluto, quando andavamo al cimitero. Mentre non ho nessun ricordo di mio padre al cimitero.

«174517» è il numero identificativo che Primo Levi portava tatuato sul braccio durante la prigionia, durata quasi un anno, presso il campo di concentramento nazista di Auschwitz III – Monowitz. È sepolto nel cimitero Monumentale, Torino

«Unconcerned, but not indifferent»
Distaccato ma non indifferente
Man Ray e la moglie, al Cimitero di Montparnasse, Parigi. «Man ray» (L’uomo della luce) era lo pseudonimo di Emmanuel Radnitzky.

«Sono uno scrittore
Dopo tutto
Nessuno è perfetto».
Billy Wilder sepolto al Westwood Memorial Cemetery, Los Angeles.

Leonardo Sciascia.
«Ce ne ricorderemo, di questo pianeta».
L’epitaffio, scelto da Leonardo Sciascia è tratto da uno scritto di Auguste de Villiers de l’Isle-Adam che, secondo Matteo Collura («L’isola senza ponte», Longanesi, 2007) arriva a Sciascia da Leo Longanesi. Su un manoscritto conservato dalla famiglia, Sciascia aveva scritto: «Ho deciso di farmi scrivere sulla tomba qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Villiers de l’Isle-Adam “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”. E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano». Cimitero di Racalmuto (AG). (https://www.corriere.it/scuola/secondaria/cards/addii-famosi/ce-ne-ricorderemo.shtml)
“Pellegrin che guardi a me,
io ero come te,
un bel dì sarai com’io,
pellegrin Addio Addio.”
[Epitaffio su una tomba del cimitero di Ravenna, ma abbastanza diffuso]
Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta.
[Anonimo, ibidem]

“Excuse my dust”
Scusate per la cenere
[Dorothy Parker]
Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti,
sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria
puntati nei nostri pieni di lacrime.
[Sant’Agostino]

«Sor Marchese è l’ora».
[Alberto Sordi al Cimitero monumentale del Verano, Roma. Una frase dal suo film: Il Marchese del Grillo]
Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc / Parthenope; cecini pascua, rura, duces
Mi generò Mantova, la Calabria mi rapì:
ora mi custodisce Partenope;
cantai i pascoli, i campi, i capi guerrieri.
[Sulla tomba di Publio Virgilio Marone, a Napoli, nel Parco Vergiliano a Piedigrotta]
Mi ha rapito il sole.
[Epigrafe emersa da scavi archeologici]

“Here lies one whose name was writ in water”
Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua
[John Keats, sulla tomba al cimitero acattolico di Roma]

Epitaph engraved on the tomb of Robert Frost at Bennington in Vermont
“I had a lover’s quarrel with the world.”
E se un epitaffio dovesse esser la mia storia /
ne avrei uno breve pronto per me. /
Avrei voluto scrivere di me sulla mia lapide: /
ebbi una lite d’innamorato col mondo.
[Robert Frost, dal suo poema: “The Lesson for Today” (1942)]
“Tranquilli… È solo sonno arretrato
(…ve l’avevo detto che non mi sentivo tanto bene)”
[È l’epitaffio che Walter Chiari aveva confidato all’amico Dino Risi. Contrariamente a quanto pensano molti e molti hanno scritto, non è mai finito sulla tomba del”attore. La seconda frase è stata fatta propria da molti ipocondriaci]
“Ho sceso, dandoti il braccio,
almeno un milione di scale
ed ora che non ci sei
è il vuoto ad ogni gradino”.
[Eugenio Montale, per la moglie, Drusilla Tanzi]

“Tolto da questo mondo troppo al dente”
[Aldo Fabrizi, dalla chiusa del suo sonetto intitolato “Er mortorio”]


Emily Dickinson. La tomba al cimitero di Amherst Mass. USA
Called back
Richiamata
Emily Dickinson, l’epitaffio – davvero ‘lapidario’ – è tratto dall’ultima lettera ai cugini Louise e Frances Norcross (maggio 1886) prima di morire: “Little cousins, called back, Emily”.

[Gli epitaffi. (1) – Continua con gli epitaffi prodotti dal gruppo di Argostòli, che saranno riportati in forma anonima]

La Tomba di Trilussa al Cimitero Monumentale del Verano
C’è un’ape che se posa
su un bottone de rosa
Lo succhia e se ne va
Tutto sommato ’a felicità
è una piccola cosa
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